ALESSAND ROMANZONI
pardon:
ALESSANDRO MANZONI
(Milano, 1785 – ivi, 1873)
I promessii sposii?!? Eh sì, miei diletti, il plurale al quadrato ci vuole, perché de I promessi sposi c’è più di una versione. Due, tre? Di più, di più: il vostro insegnante, a scuola, non vi ha detto tutto! Volete qualche assaggio? Presto fatto (ma per sapere gli autori dovrete pazientare qualche giorno); ecco qua:
I
Quel ramo del
lago di Como d’onde esce l’Adda e che giace fra due catene non interrotte di
monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così
dire piccioli golfi d’ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a
ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e
continuato di modo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il
lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, rende
ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione: perché gli argini
perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla
riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi
sentire il doppio e diverso romore dell’acqua, la quale qui viene a rompersi in
piccioli cavalloni sull’arena, e a pochi passi tagliata dalle pile di macigno
scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale.
II
Quel ramo del
lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti,
tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli,
viene quasi a un tratto a ristringersi e a prender corso e figura di fiume, tra
un promontorio a destra, e un’ampia riviera di riscontro; e il ponte, che ivi
congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa
trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per
ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lasciano
l’acqua distendersi e allentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
III
Quel ramo del
lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti,
tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli,
vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume,
tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte,
che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio
questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda
ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo,
lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
IV
Quel ramo del Lario che, tra due catene di
monti e tutto seni e golfi, volge a sud, quasi a un tratto si restringe e, tra
un’ampia costiera a manca e un promontorio a destra, prende corso di fiume;
mutazione resa più evidente da un ponte che unisce le due rive lì ove termina
il lago e l’Adda ricomincia, per riprendere poi nome di lago, ove esse
riaprendosi, lasciano spaziare le acque in nuovi golfi e seni.
V
Quel ramo del
lago di Como che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti,
tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli
(tali notizie noi ricaviamo da un Manoscritto del Milleseicento, nel quale è
narrata la presente istoria) è un lago esclusivamente d’acqua dolce, a
differenza del Mar Caspio o del Mar Morto, che son salati per pura
combinazione. Il suddetto ramo, strada facendo, vien, quasi d’un tratto, a
restringersi formando in luogo la città di Lecco, i cui abitanti diconsi
Leccobardi; gente industriosa e di grande malizia, che, per potervi gettar
sopra un ponte, costrinsero il lago a divenire un fiume.
Fra le altre
anomalie che presenta questo ramo, v’è ancor quella di lasciarsi circondare,
come già dicemmo, da due catene non interrotte di monti, le quali, se si
fossero avvicinate ancor più, avrebber costretto il lago di Lecco a trasferirsi
altrove; per esempio nel Tavoliere delle Puglie, dove i laghi sono oggetti da
collezionista, oppure nelle immediate vicinanze di Milano, dove gli edili, che
non fanno complimenti, si sarebbero affrettati a ricoprirlo.
VI
Nel tardo pomeriggio di una giornata di
novembre del 1628, Don Abbondio, un pretonzolo sui quarant’anni, tondo e ben
pasciuto, cammina per una stradicciola di campagna sui colli che guardano il
lago di Como, alle spalle del paese di Lecco.
VII
Quel ramo del lago di Como, che
volge a mezzogiorno…
– Ma, quando io avrò durata
l’eroica fatica di trascriver questa storia, si troverà poi chi duri la fatica
di leggerla? In vero, non è cosa da presentare ai lettori d’oggigiorno. –
Nell’atto però di chiudere lo scartafaccio, per riporlo,
mi sapeva male che una storia così bella dovesse rimanersi sconosciuta, perché,
in quanto storia, può essere che al lettore ne paia altrimenti, ma a me era
parsa bella, come dico; molto bella. – Perché non si potrebbe, pensai, rifarne
la dicitura? – Non essendosi presentata alcuna obiezion ragionevole, il partito
fu subito abbracciato.
IL RAMO DEL LAGO DI COMO
Quel ramo del lago di Como,
che volge a mezzogiorno, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender
corso e figura di fiume; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che
renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto
dove il lago cessa, e l’Adda ricomincia. Dall’alture alla riva, da un poggio
all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide,
o piane.
E’ da una di queste stradicciole che comincia il nostro
racconto: dopo una voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi,
e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra
saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle fino a
un torrente.
Questa seconda diramazione era
detta il ramo del torrente o, poiché il torrente si gettava nel ramo del lago
di Como, il ramo del ramo del lago di Como.
A un certo punto del percorso il
sentiero fiancheggiava una parete scoscesa: su quella parete era cresciuto,
chissà come, un albero. Ma, data la particolare situazione, aveva sviluppato la
chioma quasi tutta da un lato, con un ramo, in particolare, che era cresciuto
molto più degli altri e sporgeva obliquamente sopra il sentiero. Era, per
tutti, il ramo del ramo del ramo del lago di Como.
Sopra quella parete scoscesa,
molti secoli addietro, era stato costruito un eremo. Si finì perciò col
chiamarlo l’eremo del ramo del ramo del ramo del lago di Como.
L’eremo era ormai abbandonato da tempo immemorabile,
quando un barcaiolo, che si era innamorato del posto, decise di riadattarlo e
di farne la sua abitazione. Da quel giorno il barcaiolo, che si chiamava Remo,
divenne per tutti il1 Remo2 dell’eremo del ramo del
ramo del ramo del lago di Como.
Un brutto giorno il nostro ramo venne spezzato da un
fulmine; il barcaiolo lo raccolse e ne ricavò un remo: era nato il remo del
Remo dell’eremo del ramo del ramo del ramo del lago di Como.
Giunto alla vecchiaia, il barcaiolo, che ormai aveva
smesso di vogare, utilizzò il remo per rifare le gambe a un mobile che teneva
in camera da letto, che divenne così il comò del remo del Remo dell’eremo
del ramo del ramo del ramo del lago di Como.
La moglie del barcaiolo amava passare il tempo a ricamare
e teneva nel comò, assieme alle stoffe e ai rocchetti, il suo ago preferito: l’ago
del comò del remo del Remo dell’eremo del ramo del ramo del ramo del lago di
Como.
E, poiché a causa dell’ago del comò del remo del Remo
dell’eremo del ramo del ramo del ramo del lago di Como siamo ormai allo
stremo dell’ago-
nia (e del coma), chiudiamo qui
la nostra storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a
chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se invece
fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.
NOTE
1 – I lombardi hanno l’abitudine
di usare l’articolo determinativo anche davanti ai nomi propri.
2 – Nomen omen, dicevano i latini: fare il barcaiolo chiamandosi
Remo è la cosa più logica, come per Guido fare il tassista, per Assunta trovare
un lavoro fisso, o per Bruno essere un po’ orso.
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