martedì 31 gennaio 2023

Parole misteriose: ABRACADABRA, ovvero SPIRITI MALIGNI, ESORCISMI, AMULETI, MAGIE

 

Quintus Serenus
LIBER MEDICINALIS
Manoscritto della seconda metà del XIII secolo, Canterbury
(British Library, Londra; Royal MS 12 E XXIII)

 
 
I FATTI

La prima attestazione di abracadabra risale al Quinti Sereni Liber (Medicinalis): Il Libro (di Medicina) di Quinto Sereno – o Serenio? Gli studiosi non sono d’accordo –, databile tra la fine del II e l’inizio del IV secolo d. C.:
 
LI. Hemitritaeo depellendo.
 
Mortiferum magis est quod Graecis hemitritaeos
vulgatur verbis; hoc nostra dicere lingua
non potuere ulli, puto, nec volvere parentes.
Inscribes chartae quod dicitur abracadabra
saepius et subter repetes, sed detrahe summam
et magis atque magis desint elementa figuris
singula, quae semper rapies, et cetera figes,
donec in angustum redigatur littera conum:
his lino nexis collum redimire memento.

 
Così lo traduce Cesare Ruffato:
 
Terapia della febbre semiterzana
 
Più infausta è la febbre dal nome greco
hemitritaeos, che si crede priva di termine
proprio nella nostra lingua e non lo vollero
i nostri padri. Si scriva su un foglio
il detto abracadabra, lo si ripeta assai
sovente e muovendo in basso si detragga
di volta in volta per ogni riga, senza
omissioni, la lettera finale riscrivendo
le restanti fino a risultare una unica
lettera terminale in figura verbale
a cono acuto: memento di appendere
il foglio al collo con un filo di lino.

 
Così appariva la scritta:
 
La progressiva riduzione della parola, evidentemente, avrebbe propiziato la riduzione della malattia, fino alla sua sparizione.
Dell’autore non sappiamo NULLA: come avete visto, c’è incertezza perfino sul nome (perché Sereni potrebbe essere il genitivo sia di Serenus che di Serenius); forse era figlio dell’erudito Quinto Sereno Sammonico.
Che dire? Cominciamo bene!


LE IPOTESI
 
Le ipotesi sul significato di abracadabra sono innumerevoli. Una puntuale ricognizione la trovate, miei diletti, nel saggio Abracadabra di Paolo Martino (Roma, Editrice “Il Calamo”, 1998. Ed è su questo documentatissimo saggio che si basa l’ossatura del mio post.
 
Un documento decisivo per trovare la chiave interpretativa di abracadabra è l’iscrizione su una gemma tardoantica di ematite (Collezione Guillaume Poche, Aleppo), che potremmo considerare la più antica attestazione di abracadabra… se non ci fosse un errore di stumpa! È stata pubblicata da René Mouterde in Le Glaive de Dardanos – Objets et inscriptions magiques de Syrie, pagg. 83-85 (Beirut, Imprimerie Catholique, 1930).
Traslitterando dall’alfabeto greco a quello latino, nelle due prime righe leggiamo:

ABRA
KADABA
 
Dove, scrive Martino, Nella seconda linea sarà da restituire la lettera Ρ. (Non è la nostra P: è la rho dell’alfabeto greco, corrispondente alla R dell’alfabeto latino.)
Che dire? Continuiamo bene!
Superato lo sconcerto per l’imperfetta (?) redazione del testo, resta comunque un fatto importante: la ricerca si deve focalizzare sulla cultura di lingua greca.
Notiamo che la formula è divisa in due: per motivi di spazio, certo, ma potrebbe esserci anche un altro motivo: abra infatti è la grafia bizantina della parola greca aura, generalmente pronunciata avra; in seguito i Latini la leggeranno e pronunceranno senz’altro abra. L’aura è una brezza fredda e dannosa per la salute; ma il termine assume anche significati metaforici. Scrive Paolo Martino: Secondo credenze assai diffuse a livello popolare nel mondo greco-romano dei primi secoli dell’era volgare, attestate nella letteratura cristiana antica e medievale […], le malattie che affliggono l’umanità si devono all’azione di spiriti maligni, demoni che hanno una certa essenza corporea della consistenza di un soffio d’aria leggero.
 
Per scacciare l’abra malefica si fa uno scongiuro: apokrismòs katà tès àbras (scongiuro contro l’abra), dove katà regge il genitivo singolare e ha significato avversativo. Ma siccome, come le disgrazie, le àbrai non vengono mai da sole, è opportuno moltiplicare gli scongiuri: apokrismòs katà tàs àbras (scongiuro contro le singole abra, prese una dopo l’altra), dove katà regge l’accusativo plurale e ha significato distributivo. Si arriva così alla formula abra kat’àbran (abra dopo abra), dove katà assume il significato di “dopo” e regge l’accusativo singolare.
 
Uff! Ci siete? Cosa dite: troppo complicato? Non si capisce niente? Tranquilli, riducendo all’essenziale, il senso di tutto il discorso è questo: si facevano scongiuri contro le singole àbrai: abra kat’àbran (abra dopo abra). 
Col tempo questa espressione, in ambiente latino, si trasforma in una parola unica: abracadabra; una parola di cui non si comprende più il significato originario, ma alla quale si continua ad attribuire poteri taumaturgici, inscrivendola negli amuleti.
 
Amuleti che continueranno a essere usati, almeno nella cultura popolare contadina, fino a pochi decenni fa. Carlo Levi, mandato al confino a Grassano (MT) nel biennio 1935-36, rileva infatti: La magia popolare cura un po’ tutte le malattie; e, quasi sempre, per la sola virtù di formule e di incantesimi. Ve ne sono di particolari, specifiche per un male determinato, e di generiche. Alcune sono, a quel che credo, di origine locale; altre appartengono al corpus classico dei formulari magici, capitate quaggiù chissà quando e chissà per che vie. Di questi amuleti classici, il più comune era l’abracadabra. Visitando i malati, mi accadeva molto spesso di vedere, in generale appeso al collo con una cordicella, un fogliolino di carta, o una piccola piastrina di metallo, con su scritta, o incisa, la formula triangolare:
 
 
Intanto però, all’insaputa dei contadini, abracadabra aveva assunto il significato più generico di formula magica, entrando nel lessico dei prestigiatori.


APPENDICE 1: RIMEDI ALTERNATIVI
 
Oltre all’amuleto di abracadabra, Quinto Sereno suggerisce un paio di rimedi alternativi.
Il primo è diventato, purtroppo, di assai difficile reperibilità; mala tempora currunt, e le cacce agli animali feroci nel Colosseo non si fanno più:
 
Nonnulli memorant adipem prodesse leonis.
 
Nella traduzione di Cesare Ruffato:
 
Alcuni sostengono l’efficacia del grasso di leone.
 
Il secondo rimedio lo cerchereste invano in farmacia: bisogna andare in gioielleria, e per questo, temo, il Servizio Sanitario Nazionale non vi rimborserà le spese:
 
Coralium vero si cocco nectere velis
nec dubites illi veros miscere smaragdos,
adsit baca teres niveo pretiosa colore:
talia languentis conducent vincula collo
letalesque abiget miranda potentia morbos.

 
Nella traduzione di Cesare Ruffato:
 
Se si vuole portare una collana
di corallo, va vivacizzata con veri
smeraldi e con una perla rotonda
preziosa per il suo niveo candore:
questo gioiello al collo del paziente
allontanerà con potere stupefacente
l’infausta patologia.

 
 
APPENDICE 2: L’ESORCISMO DI SAN GREGORIO
 
Per vostra edificazione, vi trascrivo i nomi degli spiriti maligni (àbrai) elencati nell’Esorcismo di san Gregorio scritto nel 1153 (Cod. Euch. Sinait, n. 973, monastero del monte Sinai): abra maschio, femmina, dell’acqua, del sangue, della percossa, della casa, della musica, della cottura, del cancro, dello spergiuro, del giuramento, insonne, cieco, sordo, impotente, disobbediente, della statua, demone del mezzogiorno, freddo della febbre, della tintura aderente (?), della testa, della bestia feroce, dell’aspide, del basilisco, della frenesia, del sangue, del fuoco che crepita, del pallore, della fossa (?), della vigna, della pietra nera, della terra del fuoco, dei marmi, dell’incontro, della visita, del serpente, della sorgente, del torrente, del fiume, dei mari, dell’oceano (?), del demone di mezzogiorno [ripetuto], della strada, delle sette strade, delle otto strade, della percossa, della testa [ripetuto], della maledizione, che manda (pericoli), del tesoro, della terra, del cielo, del sole, della luna, che procede dagli uomini, che procede dalle vigne, che procede dagli atti impuri, che agisce per settantasette generazioni e mezza.


LETTURE CONSIGLIATE E RISORSE INTERNET
 
Quintus Seren(i)us, Liber Medicinalis.
In latino lo trovate qui (clic) 
Tradotto in italiano da Cesare Ruffato lo trovate qui (clic)  
 
Paolo Martino, Abracadabra, Roma, Editrice “Il Calamo”, 1998. 
Studio fondamentale, reperibile in internet qui (clic) o, con maggiore qualità ma previo login, qui (clic). 
Martino svolge un’indagine serrata e approfondita (107 pagine!) sul contesto e sui documenti che avvalorano la sua proposta etimologica. Il testo è raccomandato anche per l’analisi puntuale delle varie ipotesi formulate nel tempo dagli studiosi. 

René Mouterde in Le Glaive de Dardanos – Objets et inscriptions magiques de Syrie, (Beirut, Imprimerie Catholique, 1930); il testo è reperibile qui (clic).


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martedì 16 giugno 2020

E NON STA BENE ovvero PISANO-CIOFFI, IL PRODOTTO DEL BINOMIO



E NON STA BENE
Testo: Gigi Pisano – Musica: Giuseppe Cioffi
(1950)

(Ascolta la versione di Nino Taranto, cliccando qui)

(Ascolta e guarda le versioni – le prime due discografiche e la terza teatrale –  di Vittorio Marsiglia, da quella più cantata a quella più recitata, cliccando qui, qui e qui)

(Ascolta e guarda due versioni di Oscar Di Maio, cliccando qui e qui)


Bella,
cu ll'uocchie belle,
cu 'a faccia bella, na stella si'.
Tu, cu sti ppónte 'e stelle,
mi pungi il cuore, mi fai morí.
Avevam' 'a spusá p' 'a fin' 'o mese,
ma tu dicesti: "Mo tengo da fare,
lo sai che a Roccaraso(1) devo andare.
Io só' nata pe' sciá,
che m'importa di sposá?"
 
Bella,
con gli occhi belli,
con la faccia bella, una stella sei.
Tu, con queste punte di stelle,
mi pungi il cuore, mi fai morire
Ci dovevamo sposare per la fine del mese,
ma tu dicesti: "Ora ho da fare,
Lo sai che a Roccaraso(1) devo andare.
Io sono nata per sciare,
che m'importa di sposarmi?"
 
E non sta bene.
Sei una vigliacca Marí',
mi spacchi il cuore,
ma fai cilecca Marí'.
 
E non sta bene.
Sei una vigliacca Maria,
mi spacchi il cuore,
ma fai cilecca Maria.
 
Io nun te faccio ascí,
te scasso 'e sci,
te scasso 'e sci.
 
Io non ti faccio uscire,
ti rompo gli sci,
ti rompo gli sci.
 
Se tu resti con me,
te compro 'e sciù,(2)
te compro 'e sciù.
 
Se resti con me,
ti compro gli sciù,(2)
ti compro gli sciù.
 
Si po' truove scé-scé,
povera a te,
povera a te.
 
Se poi litighi,
povera te,
povera te.
 
Io te scasso 'e sci,
nun te compro 'e sciù,
e del tuo scé-scé,
io me ne freghé.
Nfré.
 
Io ti rompo gli sci
non ti compro gli sciù,
e della tua lite,
io me ne frego.
Nfré.
 
Pe' na sciata tu te pierde a me?
Io mme ne trovo n'ata meglio 'e te.
Ti assicuro, sí,
che se vai lassù,
certamente non ti sposo più.
Nfrù.
 
Per una sciata tu perdi me?
Io ne trovo un'altra meglio di te.
Ti assicuro, sì,
che se vai lassù,
certamente non ti sposo più.
Nfrù.
 
Bocca,
che bella bocca
che tieni in bocca.
Ma che ne fo'
quando cu 'a stessa bocca
che tieni in bocca,
mi hai detto no?
Mi fai parlare solo come un pazzo.
Tu preferisce 'a neve e no stu core
che batte, pulsa e palpita d'amore.
Vuoi partire pe' sciá
e mi resti solo qua?
 
Bocca,
che bella bocca
che hai in bocca.
Ma cosa me ne frega
se con la stessa bocca
che hai in bocca,
mi hai detto no?
Mi fai parlare da solo come un pazzo.
Tu preferisci la neve e non questo cuore
che batte, pulsa e palpita d'amore.
Vuoi partire per sciare?
E mi lasci qua da solo?
 
E non sta bene.
………………….
 
E non sta bene.
………………….
 
Chiagne?
Ma pecché chiagne?
Nèh, chella chiagne,
che chiagne a fá?
Questo non mi stupisce,
mi intenerisci pe' ghí a sciá.
T'hê miso 'o cuppulone e 'e pantalone,
'e scarpe chiene 'e chiuove
e 'a sciarpa 'e lana.
La donna che ripudia la sottana,
non è donna, sai cos'è?
E' una… pápera, quest'è.
 
Piangi?
Ma perchè piangi?
Nèh, quella piange,
che piange a fare?
Questo non mi stupisce,
mi intenerisci per andare a sciare.
Hai messo il cappello e i pantaloni,
le scarpe piene di chiodi
e la sciarpa di lana.
La donna che ripudia la sottana,
non è donna, sai cos'è?
E' una… papera, questo è.
 
E non sta bene.
………………….
E non sta bene.
………………….

Testo e traduzione reperiti in:
http://www.napoligrafia.it/musica/testi/eNonStaBene.htm

1 - Si po’ truove scé-scé: io tradurrei “Se poi trovi scuse, pretesti, cavilli (per non fare una cosa, o per litigare). Deriverebbe dal francese chercher (cercare), ma come abbia assunto il significato attuale non appare del tutto chiaro (l’aneddoto del soldato francese che cerca informazioni e viene mal compreso, scambiando il suo chercher con l’oggetto non ben identificato della ricerca, mi sembra poco convincente).
2 - Sciù deriva dal francese chou, che significa “cavolo”, ma anche “bignè”.

 


EGIDIO PISANO detto GIGI, (Napoli, 1889 – Napoli, 1973)
 (il secondo alla vostra sinistra, con la cravatta chiara)

GIUSEPPE CIOFFI (Napoli, 1901 – Napoli, 1976)
(il primo alla vostra destra, col papillon)

Fra di loro: NINO TARANTO








La figura comica e patetica dell’innamorato preso per il naso dalla fidanzata, che cerca di darsi un tono autorevole e imperioso (te scasso ’e sci), ma che poi tradisce la sua insicurezza, passando alle blandizie (te compro ’e sciù), figura presentata nella canzone E non sta bene, rappresenta uno dei più tipici e noti esempi della macchietta napoletana.

La macchietta è un genere comico-musicale sviluppatosi a Napoli, a partire dalla fine dell’Ottocento. Suo creatore fu il paroliere Ferdinando Russo (1866-1927), che chiamò come interprete Nicola Maldacea (1870-1945). La prima macchietta fu L’elegante, su testo di Ferdinando Russo e musica di Vincenzo Valente, composta, secondo Maldacea, nell’ottobre o novembre 1891.

La macchietta era caratterizzata da tre elementi, che la distinguevano dalla canzone napoletana classica:
– stile musicale: non era una canzone appassionata, ma una canzonetta appena cantata e un po’ sussurrata (F. Russo);
– carattere: doveva delineare tipi, non sospirare d’amore (F. Russo); ne derivava che la musica non si rifaceva alla romanza, ma alla musica di danza e di intrattenimento;
– rappresentazione: questi tipi, curiosi, comici, o grotteschi, dovevano essere scrupolosamente interpretati (F. Russo) dal punto di vista drammaturgico, ricorrendo anche ad un abbigliamento adeguato.
Questo aspetto drammaturgico veniva particolarmente accentuato dal maggiore interprete di questa prima stagione della macchietta, Maldacea:
Più che un vero canzonettista, io ero un attore che cantava, e alla mia qualità di attore tenevo tantissimo. 
Invece di cantare, invece di accentuare il motivo, consideravo la musica un accompagnamento alle parole, un commento, e mi preoccupavo di dire, colorire, rendendo il ‘tipo’ il meglio che potessi. (N. Maldacea).

Dopo un periodo di decadenza, in seguito alla chiusura del Salone Margherita nel 1911, la macchietta conosce una seconda grande stagione con la nascita, nel 1927, del sodalizio fra Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi, un sodalizio talmente celebre da essere chiamato, anche nei manifesti, semplicamente “il Binomio”. Ad essi va affiancato Nino Taranto, il migliore dei loro interpreti.
Nella loro produzione il rapporto fra musica e recitazione diventa più equilibrato e gli aspetti caricaturali si attenuano: non si tratta più di sketch musicali, ma di canzoni vere e proprie, che vengono cantate da tutti e che entrano anche nel repertorio dei posteggiatori. I testi di rado sono esclusivamente in napoletano: di solito si tratta di una mescolanza di italiano e napoletano, che riserva a quest’ultimo gli aspetti meno formalizzati e più spontanei del discorso, creando un rapporto di complicità col pubblico locale.

Nei suoi testi Pisano ama far ricorso alle assonanze. In Non sta bene le assonanze compaiono nel ritornello e si basano sul suono SC:

Io nun te faccio ascí,
te scasso ’e sci,
te scasso ’e sci.

Se tu resti con me,
te compro ’e sciù,
te compro ’e sciù.

Si po’ truove scé-scé,
povera a te,
povera a te.

Tipico della macchietta è il ricorso alle allusioni e ai doppi sensi osceni.
Un procedimento usato da Pisano è quello di suggerire un termine osceno o volgare, mediante l’attrazione della rima.

In Mazza, Pezza e Pizzo… (1936) tutto il testo è giocato ossessivamente sulle parole dalle doppia Z: Mazza, Pezza, sollazzo, Pizzo, Milazzo, pazzo, carezze, ebrezza, Cozzi, Terlizzi, singhiozza, Arezzo, Rizzo, Varazze. Ci sono tutte… o quasi, perché delle parole in –azzo manca proprio quella che sarebbe la più ovvia, se non fosse la più censurabile. Un’imprecazione che aleggia nell’aria, ma che ovviamente non arriverà mai… a meno che l’interprete non incespichi con la lingua mentre nomina il signor Cozzi pazzo, invertendo un paio di vocali o di consonanti.

In Quagliarulo se ne va (1938) le assonanze girano attorno al nome della fedifraga Pamèla: sole, sale, vale, tale, vela, Cile, vile, criminale. Ma il sale della canzone sta nel cognome del povero protagonista, che se ne va, ma dove? Lui dice in Cile ma sarà vero? La rima in –ulo suggerisce tutt’altro (ma non chiedetelo a me!).

Ed ecco un paio di esempi, tratti proprio da E non sta bene. Ormai siamo nel 1950 e le allusioni si fanno più esplicite.

Mi fai parlare solo come un pazzo.
Tu preferisce ’a neve e no stu c…
(esitazione dell’interprete: gli stava scappando la classica – e innominabile – rima in –azzo? Falso allarme:)
core
(che comunque rima, ma col verso successivo:)
che batte, pulsa e palpita d’amore.

(Si noti per inciso che, nella versione meno recente della canzone, Vittorio Marsiglia si (auto?)censura, sostituendo pazzo con matto, eliminando così l’allusione.)

La donna che ripudia la sottana,
non è donna, sai cos’è?
È una p… (nuova esitazione: gli stava scappando un epiteto irripetibile, che finisce con –ttana? Di nuovo un falso allarme:)
pápera,
(e la rima? Arriva, arriva, ma col verso intermedio:)
quest’è.

Questo è un blog dedicato alle parole, ma in questo caso stiamo parlando di canzoni, dove il testo si lega inscindibilmente alla musica. E cosa sarebbero i testi di Pisano senza le invenzioni musicali di Cioffi, senza il suo brio, i suoi ritmi, le sue sottolineature comiche? I ritmi sono quelli dei balli: per la storia comicamente tragica di Agata! il ritmo è quello del tango, per esempio. Ma il ritmo preferito da Cioffi, per il suo carattere allegro vivace, è quello della polka, ed è questo il caso di E non sta bene.

Scusa, Giuseppe, mi stavo dimenticando di te. E non sta bene.



LETTURE CONSIGLIATE
Questo post si basa sullo studio:
Massimo Privitera, “Carlo Mazza, Quagliarulo e soci” Le macchiette di Pisano e Cioffi, incluso in Studi sulla canzone napoletana classica, a cura di Enrico Careri e Pasquale Scialò, Libreria musicale italiana, 2008.
Potete acquistare lo studio di Privitera in formato Pdf, al prezzo di 10 euro, cliccando qui,
oppure ottenerlo gratis tramite academia.edu (previa iscrizione), cliccando qui.

SITI INTERNET
Biografia di Gigi Pisano, cliccando qui.
Biografia di Giuseppe Cioffi, cliccando qui.


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giovedì 26 marzo 2020

LO ZECCHINO D’ORO: QUARANTAQUATTRO GATTI ovvero UNIONI (QUASI) IMPOSSIBILI




A commentare i canti di Dante si sono messi in tanti; a commentare le canzoni dello Zecchino d’Oro non si è messo nessuno: tranquilli, ci penso io.

Oggi si parla di:

44 gatti
Testo e musica: Giuseppe Casarini
10° Zecchino d’oro, 1968
Cantata da Barbara Ferigo

 

Solista
Nella cantina di un palazzone
tutti i gattini senza padrone
organizzarono una riunione
per precisare la situazione.


Quarantaquattro gatti,
in fila per sei col resto di due,
si unirono compatti,
in fila per sei col resto di due,
coi baffi allineati,
in fila per sei col resto di due,
le code attorcigliate,
in fila per sei col resto di due.


Coro
Sei per sette quarantadue,
più due quarantaquattro.


Solista 
Loro chiedevano a tutti i bambini
che sono amici di tutti i gattini
un pasto al giorno e all’occasione
poter dormire sulle poltrone.


Quarantaquattro gatti,
in fila per sei col resto di due,
si unirono compatti,
in fila per sei col resto di due,
coi baffi allineati,
in fila per sei col resto di due,
le code attorcigliate,
in fila per sei col resto di due.


Coro
Sei per sette quarantadue,
più due quarantaquattro.


Solista 
Naturalmente tutti i bambini
tutte le code potevan tirare
ogni momento, e a loro piacere
con tutti quanti giocherellare.


Quarantaquattro gatti,
in fila per sei col resto di due,
si unirono compatti,
in fila per sei col resto di due,
coi baffi allineati,
in fila per sei col resto di due,
le code attorcigliate,
in fila per sei col resto di due.


Coro
Sei per sette quarantadue,
più due quarantaquattro.


Solista
Quando alla fine della riunione
fu definita la situazione,
andò in giardino tutto il plotone
di quei gattini senza padrone.


Quarantaquattro gatti,
in fila per sei col resto di due,
marciarono compatti,
in fila per sei col resto di due,
coi baffi allineati,
in fila per sei col resto di due,
le code dritte dritte,
in fila per sei col resto di due.


Coro
Quarantaquattro gatti,
in fila per sei col resto di due,
marciarono compatti,
in fila per sei col resto di due,


Solista
coi baffi allineati,
in fila per sei col resto di due,
le code dritte dritte,
in fila per sei col resto di due...


Coro

Col resto di due!


(Ascolta la versione originale di Barbara Ferigo cliccando qui)
(Ascolta e guarda la versione dal vivo di Barbara Ferigo cliccando qui
(Ascolta e guarda la versione de I Cartoni dello Zecchino d’Oro volume 4 cliccando qui




44 GATTI, libro con CD-AUDIO, Roma Gallucci, 2007


“Quarantaquattro gatti?” “In fila per sei col resto di due!” Bravi, risposta giusta; ma la domanda era troppo facile: chi se lo può dimenticare un verso così strano?

Nell’immaginario collettivo non ci sono due cose più lontane fra di loro della letteratura e la matematica; eppure nell’esperienza quotidiana di uno scolaro si tratta di cose vicinissime, addirittura contigue quando si passa, per esempio, dalla lettura di una poesia al ripasso delle tabelline o all’esercitarsi con le quattro operazioni aritmetiche. È dunque un accostamento ovvio per un bambino, non però per un paroliere. Ed è qui che sta la forza di quel verso che, da quando abbiamo sentito 44 gatti la prima volta, non abbiamo più scordato: quel in fila per sei col resto di due sorprendente (perché di un tipo totalmente inedito in una canzone) e allo stesso tempo familiare (perché appartenente all’esperienza di tutti gli scolari).

Come sia nata la canzone è lo stesso autore a raccontarlo, in un’intervista a La Stampa: In quel periodo avevo smesso di suonare in giro e insegnavo educazione musicale alle scuole medie di Nonantola: mi venne prima il titolo, ispirato al numero di anni che stavo per compiere, 44, poi il testo, che scrissi in un paio di settimane, e infine, la musica, che composi in un quarto d’ora. Il contenuto della canzone invece viene dal mio grande amore per i gatti: andando a Roma da parenti, su un rudere vicino a piazza Esedra, c’erano questi gatti randagi a cui delle signore davano da mangiare. L’idea della canzone è nata così. (La Stampa, 20 maggio2008)

Ma se il titolo venne subito, il verso che avrebbe fatto la fortuna della canzone tardò ad arrivare: Avevo letto il regolamento del concorso dello Zecchino d’Oro e decisi di tentare. Il titolo venne subito, invece sul testo ci ho pensato per 15 giorni. Ricordo che in piena notte ho svegliato mia moglie per chiederle: che ne dici di “in fila per 6 col resto di 2?” e lei mi ha risposto “te sei matto!”. (La Stampa, 20 maggio 2008)

Si dice spesso che dietro a ogni uomo di successo c’è una grande donna. Non è questo il caso, sembrerebbe, e Casarini fece bene a non badare al giudizio di sua moglie, perché senza quel verso la canzone 44 gatti sarebbe stata un’altra cosa e probabilmente non avrebbe avuto il successo che ha avuto. Però, però… Casarini avrebbe potuto scrivere 44 matti!


SITI INTERNET:

Pagina di Wikipedia sullo Zecchino d’Oro, cliccando qui.
Intervista a Giuseppe Casarini (La Stampa, 20 maggio 2008), cliccando qui.


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